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    Il Libano “venduto” agli Ayatollah?

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    By Riccardo Cristiano on 23 September 2021 Headlines

    La formazione del nuovo governo libanese è stata salutata dal premier uscente dall’aereo. Lui, indagato dai magistrati per la catastrofe dell’esplosione del porto di Beirut, il 4 agosto 2020, appena non più in carica ha sentito il bisogno di correre dai figli, negli Stati Uniti. Il 4 agosto 2020 per l’ex premier fu una giornataccia: il porto di Beirut andò tutto in briciole per via di qualche centinaio di tonnellate di nitrato d’ammonio lì casualmente dimenticate da anni [molte altre centinaia di tonnellate erano state usate dal 2014 ma ufficialmente  dice come], centinaia di migliaia di persone rimasero senza casa, 200 libanesi perirono e il suo governo andò il crisi. Per formarne un altro ci sono voluti quasi 14 mesi. I maligni vedono dietro la sua partenza la fretta di sottrarsi all’inchiesta visto che non è più coperto da immunità, che aveva usato, come molti altri, anche per non presentarsi dai magistrati.  

     

     

    E il nuovo premier? Lui, il miliardario prestato alla politica Najib Mikati,  appena eletto ha subito spiegato al popolo – ridotto sul lastrico da questa crisi durata più di un anno e che ha impedito anche di chiedere al Fondo Monetario Internazionale un piano di salvataggio, portando una valuta che si cambiava a 1500 per un dollaro a quello attuale di 20mila – la ragione di una crisi interminabile: “ nessuno ha il terzo bloccante”. Che vuol dire? In Libano chi disponga di un terzo più uno dei ministri  può bloccare ogni decisione esecutiva e anche far cadere il governo. Dunque è per questo obiettivo di partito che per un anno si è paralizzato un Paese arrivato a non avere i soldi per pagare le dialisi, la corrente elettrica, la benzina, i negozi alimentari vuoti? Nessuno ha smentito il nuovo premier. E chi voleva questo terzo bloccante? Il partito del presidente della Repubblica,  Michel Aoun, maronita e fondatore del Fronte Patriottico Libero. Lui più volte si è rifiutato di controfirmare la lista dei ministri, chiedendo di designarne personalmente diversi. Molti analisti politici libanesi e non hanno scritto che il mandato presidenziale sta per scadere e il genero del presidente, l’ex ministro degli esteri Gebran Bassil, ambisce all’incarico oggi del suocero. E siccome non ci si può fidare delle promesse altrui quale altra arma di tutela avrebbe?  Michel Young del Carnegie Institute ha fornito anche i dettagli del piano istituzionale. Ma davvero nessuno ha questo terzo bloccante? Nella lista di governo figurano due “cristiani indipendenti”. Gli altri non lo saranno, ma loro lo saranno davvero? Per uno dei due tutti lo escludono, per l’altra si esprimono dubbi. E con il loro voto il fronte di Aoun arriverebbe proprio a un terzo più uno.  Si vedrà…

    Intanto però c’è la notizia del nuovo governo: è buona? Di sicuro la situazione è migliorata, un accordo con il Fondo Monetario ora si potrebbe fare, ma  il gruppo politico di opposizione  “Madonna della Montagna”, una rarità nel Libano degli eterni governi di unità nazionale, afferma: “L’occupazione iraniana, con il sostegno di potenze straniere, in particolare la Francia, ha imposto ai libanesi un governo presieduto dal Primo Ministro Najib Mikati che assicura il perpetuarsi di una classe politica fedele agli interessi iraniani. Anche forze locali hanno contribuito a rendere possibile questo, a partire dal club dei quattro precedenti premier (per legge espressione della comunità sunnita, nda) e altre forze politiche sotto l’eterno pretesto del “realismo politico e del rispetto dell’equilibrio dei poteri”, ignorando così l’insurrezione popolare libanese del 17 ottobre 2019 e addirittura dichiarando in pratica la sua sconfitta.  I libanesi, mentre attendono che il governo trovi le soluzioni per tirarli fuori da questa situazione catastrofica, sono consapevoli che il nuovo compromesso consoliderà l’egemonia iraniana sul processo decisionale nazionale. I libanesi si sentono umiliati e oppressi mentre vedono il loro ceto politico inginocchiarsi al cosiddetto fronte del rifiuto  da Beirut a Damasco, da Baghdad allo Yemen. Noi  dichiariamo ai libanesi che il loro Paese è sotto occupazione iraniana. Continueremo nel nostro sforzo di unire le forze fedeli alla causa nazionale fino a quando il nostro Paese tornerà ad essere libero, sovrano, un’ indipendente nazione araba”. Il riferimento al ruolo pro iraniano della Francia -ex potenza coloniale sempre molto attiva in Libano- riguarda un presunto lavorio diplomatico in tal senso in nome della firma dell’accordo tra Total e Iran per il gigantesco giacimento di gas South Pars.  

    Dunque emergono due fatti: una pretesa della famiglia Aoun sulla presidenza, un consenso delle grandi famiglie sunnite (il club dei quattro premier) in cambio della loro permanenza personale al potere e un’egemonia militare, e forse non solo, dei khomeinisti di Hezbollah. Loro più che uno Stato nello Stato sembrano uno Stato che ormai incorpora il Libano, espropriandolo anche di una politica di difesa, controllandone i confini e disponendo di una milizia che agisce senza vincoli governati. Hezbollah è in prima linea anche negli ostacoli all’inchiesta sull’esplosione del porto. Ora, poco dopo la soluzione della crisi di governo, il leader di Hezbollah ha annunciato di aver concordato lui, come capo di partito filo-iraniano, l’invio di tre navi cisterna iraniane per distribuire gratis benzina a tutti, cittadini e istituzioni. Ha anche disposto la pubblicazione di numeri di telefono da contattare per fissare appuntamento e ottenere il combustile. E l’inchiesta sul porto? E quel noto uomo d’affari legato a Damasco implicato da alcuni media, compresa la Reuters, nella rete che potrebbe essere stata responsabile della terribile esplosione? Su questo non c’è proprio nulla di nuovo. La notte politica del Libano è inquietante. 

     specchiere@gmail.com

    *Published in ADISTA.it

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