Libano. La giustizia armata di Hezbollah

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Una nuova “tappa” bellica nella marcia trionfale di Hezbollah verso l’egemonizzazione totale dello stato libanese. La milizia armata e braccio destro del regime degli ayatollah in Iran ha tentato negli ultimi giorni di dare il colpo di grazia al potere giudiziario libanese rimasto fuori del suo controllo.

 

Sotto la copertura di una manifestazione pacifica di protesta contro l’operato del magistrato che indaga sul terribile attentato al porto di Beirut, un gruppo di miliziani di Hezbollah armato fino ai denti ha sfiorato una strage non lontano dal palazzo di giustizia facendo irruzione nei quartieri tradizionalmente abitati da cristiani e rischiando di far risvegliare vecchie ruggini, materiali e psicologiche, ancora presenti dalla guerra civile. Che, esplosa nel 1975, sconvolse per una quindicina d’anni il Libano e in particolare questa zona della capitale, divisa tra Ain el-Romane e Shiyah, dove cristiani e musulmani sciiti si sono combattuti casa per casa.

Hezbollah, con il suo alleato Amal – l’altro movimento sciita guidato dal presidente della camera Nabih Berri – ha fatto uso di armi automatiche e lanciarazzi, mentre il primo ministro Najib Mikati, in carica solo da un mese, ha parlato addirittura di spiegamento di cannoni senza avere il coraggio però di indicare il responsabile. Ovviamente, gli abitanti del quartiere di Ain el-Romane, in gran parte simpatizzanti delle Forze libanesi di Samir Geagea – anche lui ex leader miliziano di quella maledetta epoca – hanno reagito e così la zona si è trasformata in un campo di battaglia per oltre quattro ore. I colpi dei cecchini – che ancora non si sa a chi appartengono – hanno fatto otto vittime.

Con questa “mini guerra” Hezbollah ha voluto imporre con la forza la rimozione del giudice istruttore che indaga sull’attentato che il 4 agosto 2020 ha completamente distrutto il porto più famoso e più importante nel Mediterraneo e ucciso 220 persone innocenti. Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah lo accusa di essere parziale e di politicizzare l’inchiesta per il semplice fatto che gran parte degli indagati e interrogati appartengono al suo schieramento, tra ex ministri, attuali deputati e diversi responsabili dei servizi di sicurezza, precedenti o attuali che erano in servizio nel periodo tra il novembre del 2013 – data dello scarico e il deposito delle tonnellate di nitrato di ammonio nel porto – e l’agosto del 2020 data dell’esplosione. Nasrallah è già riuscito insieme ai suoi alleati a fare saltare il primo giudice usando quello che si chiama nella giurisdizione “legittima suspicione”, per il curioso fatto che il povero magistrato è stato uno tra quelli che hanno avuto la casa distrutta o danneggiata dall’esplosione!

Ma come mai il leader di Hezbollah con il turbante nero si scaglia così ferocemente contro l’inchiesta visto che nessuno dei suoi è stato chiamato in causa? La lunga e complessa storia di questo carico (2750 tonnellate) di nitrato esplosivo, depositato da sette anni nel porto come una bomba a orologeria, porta alla pista siriana di Bashar Assad. Alleato di Nasrallah, Hezbollah si è adoperato per fargli arrivare l’esplosivo che il dittatore siriano ha usato per confezionare i barili esplosivi che lanciava dal cielo contro i civili siriani già dalla fine del 2013, quando è stato costretto a rinunciare alle sue armi chimiche in seguito all’accordo raggiunto tra l’allora presidente Usa Barack Obama e quello russo Vladimir Putin. E si sa che Hezbollah controlla da anni il porto di Beirut, l’aeroporto e tutti i valichi di frontiera, legali e non.

 

Pur essendo uno stato dentro lo stato, Hezbollah inizia la sua impresa per il controllo del Libano sedici anni fa quando la rivolta popolare, milioni in piazza, in seguito all’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri il 14 febbraio 2005, costringe l’esercito siriano a ritirarsi dal paese dopo quasi trent’anni di occupazione. E non si ferma davanti a nessun ostacolo, con le buone o con le cattive. Allora organizza per la prima volta una grossa manifestazione nel centro di Beirut per dimostrare la sua forza e per ringraziare Assad, come tuona Nasrallah stesso davanti alla folla.

È l’8 marzo 2005. Ma la reazione, incredibile, scatta una settimana dopo, con la famosa manifestazione del 14 marzo, da cui prende il nome la coalizione del 14 marzo formata allora da Saad Hariri, Walid Jumblatt, Samir Geagea, Amine Gemayel e altre personalità e formazioni minori.

Con le buone però non funziona. Hezbollah e i suoi alleati sono sconfitti alle elezioni politiche del 2005 e a quelle successive del 2009. Risultati che scatenano una dozzina di attentati contro politici, intellettuali e giornalisti in meno di due anni. E per impedire allora l’istituzione del Tribunale internazionale speciale per il crimine di Hariri, Nasrallah, alla guida di Hezbollah da trent’anni, manda i suoi a occupare il centro politico e commerciale paralizzando la capitale per un anno e mezzo. Il palazzo del governo, guidato allora da Fouad Siniora, che si rifiuta di dimettersi, finisce sotto assedio.

A questo punto Hezbollah sceglie l’uso delle armi chiudendo l’aeroporto e invadendo tutta Beirut ovest insieme ai miliziani di Berri, e assedia Hariri e Jumblatt nelle loro abitazioni. È il famoso 7 maggio 2008 che Nasrallah battezza “giorno glorioso”, il giorno in cui sono uccise una settantina di persone. Il coup de force impone quindi una mediazione saudito-qatarina che porta tutti alla conferenza di Doha nella quale Hezbollah riesce a imporre la sua partecipazione al governo e a strappare, insieme al suo alleato e attuale presidente Michel Aoun, il cosiddetto “terzo bloccante”: cioè quel diritto di veto sulle decisioni del governo con solo il terzo del numero dei ministri.

Ricorrere all’uso della forza, è stata sempre l’unica via di Hezbollah per ottenere ciò che vuole, vale a dire mettere le mani gradualmente sulle decisioni e sulle strutture dello stato. Dopo le elezioni del 2009 vinte dalla coalizione del 14 marzo Hezbollah dovette accettare un governo presieduto dal giovane Hariri aspettando il momento opportuno per farlo cadere. Infatti, quando scoppia la rivolta popolare contro il regime di Assad in Siria, Nasrallah decide di fare cadere il governo annunciando le dimissioni del terzo dei ministri che aveva con i suoi alleati Aoun e Berri. Poi, per imporre un primo ministro di suo gradimento, manda segnali minacciosi dispiegando le sue “camicie nere” attorno alla casa di Jumblatt costringendolo a dare la fiducia all’attuale primo ministro, allora loro candidato. Mentre i membri di Hezbollah condannati dal Tribunale internazionale per l’assassinio di Hariri non sono stati mai consegnati. Ovviamente, tutte queste iniziative “blindate” Nasrallah le fa per proteggere la sua “resistenza” dai complotti fomentati dagli americani e dai sionisti, anche perché il magistrato che indaga sulla strage del porto viene anche lui utilizzato, secondo Nasrallah, dagli americani per addossare la responsabilità della strage del porto a Hezbollah.

E adesso Nasrallah, per fare ripartire il governo, esige la rimozione del giudice, l’incriminazione del partito delle Forze libanesi che lo indica come responsabile dello scontro della settimana scorsa e un’inchiesta contro una presunta negligenza da parte dell’esercito nel proteggere i manifestanti.

Sono sostanzialmente due condizioni che vogliono umiliare l’esercito e sottomettere quel che è rimasto in piedi delle fondamenta dello stato, cioè il potere giudiziario da sempre autonomo e indipendente. Anche se nessuna autorità può rimuovere il giudice. Così Hezbollah può completare l’operazione di occupazione dello stato dopo essersi garantito il controllo dei poteri – esecutivo (governo e presidente) e legislativo (la maggioranza in parlamento) – oltre l’infeudamento di gran parte dei servizi di sicurezza. Il responsabile del servizio di sicurezza di Hezbollah ha fatto irruzione nel palazzo di giustizia la settimana scorsa mandando messaggi minacciosi contro il giudice istruttore nel massimo silenzio del governo. Ma sottomettere il potere giudiziario sarebbe un grave affronto al suo fedele alleato, il presidente Aoun. Quindi, la partita è ancora aperta…

Ytali

 

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