168 uomini politici e intellettuali di primo piano dell’area siro-libanese hanno preso carta e penna e pubblicato, il 3 marzo scorso, sul sito del Lebanese Center for Research and Studies, una ferma contestazione di quei Paesi arabi, guidati dagli Emirati Arabi Uniti, che stanno promuovendo la riabilitazione internazionale del regime di Bashar al-Assad. Riassumo qui l’essenziale del documento.
Il regime siriano ha messo in atto da anni tre politiche decisive: facilita la penetrazione miliziana iraniana fino al Mediterraneo, impedisce il rientro dei siriani che ha deportato e fatto fuggire all’esterno del Paese, produce ed esporta in tutto il mondo la famosa droga sintetica captagon.
Se si impegnasse a rivedere la scelta di sostenere le milizie iraniane, se non frapponesse ostacoli al rientro dei deportati – per lo più chi rientra viene fatto sparire! – e ripensasse la propria partecipazione alla produzione di captagon, una riabilitazione internazionale sarebbe persino auspicata dai proponenti, con la promessa di ingenti aiuti per la ricostruzione del Paese.
Nella sostanza viene esplicitata l’idea che non è in corso una trattativa stato-mafia, bensì un negoziato tra la Comunità Internazionale e una narco-mafia ormai padrona di due Stati – la Siria e il Libano -, come qui intendo illustrare.
Il terremoto ha fatto da propulsore alla proposta, visto che Assad ha chiesto aiuto per un territorio e per un popolo che, in larga misura, non può – anche lo volesse! – aiutare, posto che ampie parti devastate dal sisma non sono sotto il suo controllo. Ciò, come ben raccontato da Luca Geronico su Avvenire, sta ingenerando una guerra tra poveri, con i siriani dei territori controllati da Assad che protestano per gli aiuti internazionali giunti dall’ONU nei territori non controllati da Assad, benché proprio Assad sia stato personalmente responsabile del decisivo ritardo di otto giorni con cui sono iniziate le operazioni di aiuto transfrontaliero dalla Turchia da parte delle agenzie ONU: Assad non voleva dare il suo necessario assenso.
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Torno al testo degli intellettuali e politici siro-libanesi. Per questi la prospettiva deve essere capovolta: la situazione di oggettiva difficoltà in cui si trovano il regime iraniano, quello turco e quello russo, i tre principali soggetti politico-militari presenti in Siria, dovrebbero indurre gli arabi a unire i loro ranghi per chiedere alla Comunità Internazionale di chiarire una volta per tutte la posizione sulla Siria, chiedendo ora l’attuazione di quanto previsto dalle risoluzioni ONU, in particolare la n. 2254 del 18 dicembre 2015 che prevede un percorso di transizione politica per tutta la Siria, quale unico criterio di ripristino della legalità internazionale e della unità territoriale del Paese.
I 168 esponenti politico-culturali siro-libanesi sottolineano che il popolo siriano ha già troppo sofferto, come abbondantemente dimostrato dai dati agghiaccianti su distruzioni, morti e deportazioni, dal 2011 ad oggi. Un ulteriore peggioramento risulta intollerabile. E questo per la sola colpa popolare di aver “osato sognare la libertà e la dignità”.
Di Assad e delle condizioni per rilegittimarlo, avrebbe persino già parlato a Washington il capo della diplomazia degli Emirati. Abdullah bin Zayed Al Nahyan, durante la sua recente visita ufficiale. Su tali questioni – sostenute dagli arabi – si dovrebbe scrivere un libro.
Qui è il caso di soffermarsi almeno sulla questione del captagon, appunto. Mentre solo ricordo che i profughi siriani all’estero o nei campi interni ammontano a circa la metà della popolazione preesistente al 2011 e che le milizie iraniane continuano ad essere rifornite di armi in Siria – anche in questi conciati giorni – attraverso gli aeroporti in cui fanno scalo gli aiuti del post-terremoto per le principali città: vedasi Aleppo!
Mi fisso sul captagon, perché ha trasformato la Siria in un narcostato – come affermato dal Center for Operational Analysis and Research (COAR) – tanto quanto il limitrofo e collegato Libano, il cui “poroso” confine con la Siria è controllato dai signori di Hezbollah, in affari con Assad per la produzione, distribuzione e divisione dei profitti, in misura incalcolabile: una pillola di quella merce – quando arriva sui mercati – può arrivare ad essere venduta al prezzo di venti dollari!
Charles Lister, direttore del Syria Program al Middle East Institute, ha rilevato che i sequestri effettuati nel mondo nel solo 2021 hanno portato ad un ammontare di 5,7 miliardi di dollari. Considerato che le valutazioni ufficiali dei sequestri calcolano, con ogni probabilità, non più del 10% della produzione – secondo stime dei sistemi internazionali di sicurezza -, si conclude che l’introito illecito nel 2021 possa aver raggiunto i 57 miliardi di dollari.
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L’Italia sa bene quali siano le implicazioni: a Salerno, nel 2020, è stato sequestrato un carico enorme di captagon proveniente dalla Siria, del valore di un miliardo di dollari, probabilmente destinato, secondo le nostre autorità, alla criminalità organizzata locale. Mai un sequestro ha raggiunto tali dimensioni. Lo scrisse l’agenzia Reuters – il primo luglio 2020 – a firma di Angelo Amante.
Il captagon verrebbe prodotto direttamente dalla IV divisione d’élite siriana, guidata dal fratello di Bashar al-Assad, Maher. Viene commercializzato, appunto, con l’aiuto di Hezbollah, probabilmente grazie a connessioni in Messico, Venezuela e Nigeria. Sta invadendo i Paesi arabi, al punto da aver fatto deragliare i nuovi rapporti “amicali” con la Giordania per i problemi sociali che il captagon sta determinando nel regno hashemita.
Tutto questo rende verosimile la stima che molti esperti fanno circa il patrimonio personale – del tutto privato – di Bashar al-Assad: 2 miliardi di dollari.
Ma cosa produce l’occupazione di due Stati di per sé sovrani (Siria e Libano) da parte di una narco-mafia? Faccio un esempio: il ministro delle finanze libanese – esponente di un partito alleato di Assad e di Hezbollah, come del resto l’ex Presidente della Repubblica (cristiano) Michel Aoun, ha avuto una felice idea: in Libano la valuta locale, “grazie” alla scelta imposta da Hezbollah e dai suoi alleati nel 2020, ossia di dichiarare il default in segno di sfida del Fondo Monetario e della Banca Mondiale – non ha più valore; così ha avanzato l’idea che i prezzi siano esposti in dollari, in maniera che sia più semplice capirli e scriverli, senza tutti quegli zeri! Peccato che ciò non sia di sua competenza, bensì della banca centrale. Per uno stato fallito come il Libano la proposta di rinunciare ad avere anche formalmente una propria valuta dimostra come si possa suicidare uno Stato.
La linea degli Emirati potrà dunque funzionare? Verrà rilegittimato Assad? Cosa ciò comporterebbe in termini di credibilità politica e morale per chi condividesse questa opzione? Legittimare un narco-stato – reso tale da una banda di criminali patentati al potere – potrebbe costituire un precedente dalle incalcolabili conseguenze. Chi crederà più a chi e a cosa dell’ordine internazionale?